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L’evoluzione nella progettazione dei luoghi di lavoro

Come sono cambiati i luoghi di lavoro nell’ultimo secolo? In che modo la pandemia li ha trasformati? E qual è il ruolo del progettista?

L’evoluzione nella progettazione dei luoghi di lavoro

La progettazione degli spazi di lavoro è una disciplina fluida, che si adatta alle necessità del tempo in cui viviamo. Dalla crescita del settore terziario all’introduzione di nuove tecnologie, fino all’insorgere della pandemia, l’ufficio contemporaneo è mutato nel tempo nell’articolazione degli spazi e delle dotazioni tecnologiche. Vediamone insieme la metamorfosi.

L’era pre Covid e l’interpretazione del luogo di lavoro

Nell’arco dell’ultimo secolo l’evoluzione degli spazi lavorativi ha seguito le esigenze di un determinato momento storico, le correnti architettoniche del periodo e, parallelamente, le necessità legate al mondo del lavoro.

L’affermazione crescente del settore terziario e lo sviluppo razionalista delle postazioni di lavoro hanno fatto mutare la concezione tipica dello spazio cubicolo in soluzioni a pianta aperta, sempre più protagoniste a livello internazionale ma anche nazionale.
Il paradigma si muoveva dalla centralità dell’ottimizzazione produttiva verso una progressiva valutazione dell’importanza del soggetto, anche in relazione agli effetti che uno status più di altri potesse influenzare azioni e operato. Alla base dell’evoluzione c’era la concezione di spazi in cui la socialità fosse promotrice di ispirazione, di nuove motivazioni e comunque orientata a massimizzare la produttività dei dipendenti. La postazione di lavoro diventava così strumento utile per interpretare ruoli e gerarchie aziendali, oltre alle politiche interne di gestione del personale.

A tal proposito sono stati condotti vari studi specifici per analizzare l’impatto sulla socialità delle nuove configurazioni aperte; i risultati riflettono i limiti di questa concezione. Un esempio si trova in “The Truth About Open Offices“: un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review nel dicembre 2019, firmato da Ethan Bernstein e Ben Waber, che riportava una riduzione pari al 70% delle interazioni sociali tra la fase “cubicoli” alla successiva “open space”.

Gli anni duemila, in via del tutto dominante rispetto al periodo storico precedente, hanno visto la comparsa del non trascurabile impatto della tecnologia sugli ambienti di lavoro.

Il telelavoro, declinato oggi in esigenza pandemica come smart working, era già parte integrante delle politiche aziendali di realtà all’avanguardia come IBM, che risultavano in remoto per circa il 40% della forza lavoro già nel 2009.
Politiche drasticamente contrarie al lavoro remoto, invece, coinvolgevano realtà oggi ridimensionate come Yahoo, che nel 2017 prevedeva il rientro categorico in sede per i suoi dipendenti.

In questo contesto si affermavano così configurazioni ibride, in cui l’open space adottava spazi dedicati a funzioni specifiche in varie forme (dall’angolo mamma a zone relax ottenute attraverso configurazioni dinamiche) e si arricchiva di soluzioni tecnologiche utili alla gestione della fase endemica, diventando sempre più habitat per la dimensione umana.

Come ormai fisiologico e ampiamente verificato, tali processi sono stati riscontrati in realtà avanguardistiche oltreoceano e progressivamente implementate nel vecchio continente, in forme e dimensioni varie e a seconda del contesto e della sensibilità che si andava sviluppando.

«Oggi i layout differenziabili sono interpretazione di esigenze concrete. Spazi e logiche distributive si fanno portavoce delle policy per un lavoro in sicurezza».

Le nuove esigenze della fase pandemica

L’affacciarsi dell’orizzonte pandemico ha rappresentato una scossa a un processo in atto e ha permesso di evolvere ulteriormente l’approccio alla progettazione degli spazi di lavoro a partire dalle nuove criticità contingenti. Al tempo stesso, il cambiamento oggi è orientato a una più lunga interpretazione del fenomeno del lavoro remoto, divenendo mediazione tra le nuove sensibilità sviluppatesi.

Si assiste, infatti, a un fenomeno di deprezzamento di realtà mondiali del Real Estate, che oggi registrano riduzioni di valore azionario rispetto a livelli pre-pandemici, a testimonianza dell’impatto della crisi sul contesto edilizio globale, ma comunque in ripresa rispetto alla fase acuta dei primi mesi di pandemia. La dinamica, infatti, è stata di piena esaltazione del lavoro remoto durante la fase acuta dei primi mesi del 2020, anche facilmente interpretabile attraverso i riflessi legati alla sicurezza, alla gestione familiare, alla riduzione dei tempi accessori della giornata lavorativa come quelli dedicati al trasporto. A questa fase è stata anche associata un’aumentata produttività dei lavoratori, che di fatto avevano più tempo a disposizione ed erano pervasivamente coinvolti dalle dinamiche quotidiane del nuovo schema lavorativo.

Le analisi sul fenomeno sono state condotte con cadenza periodica attraverso sondaggi su migliaia di dipendenti in remoto, mettendo in evidenza come si fosse passati da una piena accettazione a una progressiva necessità di riappropriarsi delle relazioni umane che agiscono come catalizzatore positivo di nuovi stimoli. Tradotto, l’evidenza è sempre più marcata relativamente alla necessità di avere un giusto mix tra lavoro in presenza e da remoto, per riuscire a coniugare al meglio tutti gli aspetti positivi di entrambe le situazioni.

In parallelo le realtà aziendali hanno adeguato la programmazione di sviluppo iniziando a tenere di conto i riflessi che questo cambiamento aveva sui costi di gestione, manutenzione, sicurezza e affitti delle sedi pre-pandemiche, con l’inevitabile conclusione che il mutamento in atto non sarebbe poi dovuto rimanere vincolato alla situazione emergenziale.

«La progettazione contemporanea deve muovere dai nuovi input relativi a protocolli e politiche di condotta, sanitarie e di sicurezza».

La concezione di spazi lavorativi contemporanei

L’attività di analisi e approfondimento del contesto dei working spaces attuale muove da indagini anche in territorio nazionale sul reale orientamento delle grandi aziende. Si registra che la maggioranza, come riportato da The Business Evolution, studio su 244 grandi aziende promosso da Investire SGR, prevede modifiche per le sedi di lavoro sia in termini di ampliamento che di riconfigurazione/riduzione degli spazi.
La restante parte invece di agire sulla riprogettazione, implementa o ha intenzione di farlo con regole e buone norme che andranno comunque a cambiare il volto dell’ambito lavorativo.

Il fenomeno ha incidenze diverse in funzione del settore di analisi, dall’ambito finanziario all’IT, al manifatturiero, così come in termini di obiettivi. Si ridisegnano i confini delle attività maggiormente svolte in presenza, a partire dalla socializzazione, per passare, nell’ordine, a incontri con esterni, recruiting e meeting.

Nel complesso, si prevede comunque in presenza almeno il 50% del tempo di lavoro, organizzato e gestito in forme e modi anche profondamente diversi. Piattaforme online, sistemi di gestione da remoto, così come postazioni prenotabili e non personali, configurazioni ibride e modulari, oltre a sistemi impiantistici scalabili pensati per assolvere funzioni diverse in tempi diversi, diventano elementi caratterizzanti l’architettura del lavoro.

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David Maimone
Senior Project Manager